admin On giugno - 18 - 2010

 

    Ambra Rebecchi

Marcel Proust una volta disse che “il mondo non è stato creato una volta, ma tutte le volte che è sopravvenuto un artista originale”. E deve essere sorto un nuovo radioso mondo in quella calda giornata di Maggio del 1958 quando, in una piccola cittadina della Pennsylvania, nacque un bambino piccolo e magrolino che sarebbe diventato il più straordinario interprete della cultura americana dell’ultimo ventennio del Novecento: Keith Haring.

Primo di quattro figli, Keith mostrò fin dai primi mesi di vita una grande passione per il disegno: già ad un anno amava scarabocchiare strane forme e linee con pastelli di vario colore, osservare rapito il padre Allen riprodurre i personaggi dei fumetti o della Walt Disney  oppure semplicemente intingere le mani nella vernice e ricoprire i muri delle stanze con la propria impronta. Cresciuto con una ferrea educazione all’insegna della disciplina e del rispetto delle tradizioni, venendo a contatto in piena adolescenza con droghe ed alcool, dopo aver conseguito il diploma si iscrisse nel 1976 alla Ivy School of Professional Art di Pittsburgh. Scelse l’indirizzo di grafica pubblicitaria, ma si rese conto quasi subito che quello non sarebbe stato il suo futuro e così interruppe gli studi dedicandosi completamente al suo grande amore: il disegno.

Andò a San Francisco con l’allora fidanzata Susan, e proprio nella storica città dell’amore Keith entrò in contatto con l’universo omosessuale, che avrebbe in seguito segnato il sua vita privata e la sua concezione dell’arte come strumento attraverso il quale rendere noti gli aspetti nascosti (e spesso denigrati) della cultura americana.

Ma è nel 1978 che avviene la vera svolta: conscio di non appartenere al mondo artistico così limitato e tradizionalista de luogo Natale si trasferì nell’immensa New York. La grande mela,la città che non dorme mai,culla delle nuove tendenze musicali ove i più grandi artisti del Novecento avevano potuto esprimersi nella totale libertà… Il luogo ideale per un ventenne desideroso di respirare a pieni polmoni  la vita. Keith si iscrisse alla School of Visual Arts, presso la quale seguì corsi di pittura, disegno, scultura, storia dell’arte oltre e realizzare video, installazioni e collage di vario genere. Si delinearono sempre di più le caratteristiche del suo “marchio” artistico quali la linea continua; conobbe Kenny Sharf e Jean Michel Basquiat con i quali si instaurò una lunga e produttiva amicizia; si tagliò i capelli cortissimi e iniziò a frequentare i locali alternativi come il Mudd Club o il Club 57 (per il quale si occupò anche dell’organizzazione di mostre itineranti che spesso duravano una solo notte). A partire dal 1980 Keith Haring decise di rendere pubblica le sue “magie” artistiche: rimasto letteralmente affascinato dalle produzioni dei writers in giro per la città, iniziò a disegnare delle tags molto particolari, tra le quali raffiguranti uno strano “animale” che piano finì con l’assomigliare sempre di più ad un bambino  carponi circondato dai raggi luminosi ( “ la ragione per cui il bebè è diventato il mio logo è che si tratta dell’esperienza più pura e positiva dell’esistenza umana”, dirà in seguito)… Nacque il Radiant Baby.

Nello stesso periodo venne invitato a partecipare al Times Square Show: il primo grande evento realizzato al fine di far conoscere al pubblico le differenti realtà di quell’arte “underground” che aveva dato una straordinaria ventata di freschezza alla città di New York. Furono esposte opere di ben 100 artisti appartenenti a differenti correnti e autori di opere sviluppate attraverso i materiali più disparati: tra i tanti spiccarono le straordinarie opere della “triade” amica Sharf-Basquiat-Haring e quelle dei maggiori graffitisti della città come Lee Quinones, Fab Five Freddy e Futura 2000.  Un giorno Keith, camminando lungo le “vie” affollate della metropolitana della grande mela, notò dei pannelli pubblicitari vuoti e ricoperti di fogli completamente neri: si rese immediatamente conto che quelle superfici pure sarebbero state straordinarie come supporto sul quale poter finalmente esprimere quel flusso continuo di pensieri ed immagini che “inondavano” la sua mente. Armato del solo gesso bianco, iniziò a presentare i propri subway drawings alle migliaia di persone che quotidianamente “frequentavano”  frettolosamente la metropolitana, le quali riuscivano con una rapida occhiata a captarne i messaggi grazie alla tanto semplice quanto estremamente studiata composizione pittorica. Forte del successo ottenuto a poco a poco, Haring decise di assumere come assistente Tony Shafrazi, che divenne oltretutto il suo gallerista newyorkese e per il quale organizzò nel 1982 una strepitosa mostra:  per la prima volta il grande genio della Pennysilvania decise di presentare dipinti di grande formato utilizzando materiali nuovi quali teloni vinilici (perfetti per il supporto pittorico) e servendosi anche delle pareti della galleria stessa, completamente decorate dai suoi classici “motivi” artistici. Keith Haring non amava dipingere, anzi aveva un’avversione nei confronti della tela, giudicata da lui non idonea per poter esprimersi nella più totale libertà. Il cane che balla, bambini carponi, Topolino e vari nani, figure intente a ballare il famoso “smiley” con tre occhi. Tutti i grandi temi che avevano reso celebra l’artista venivano proposti in svariati modi all’interno dell’esposizione, alla cui inaugurazione parteciparono personaggi del calibro di Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg, Sol Le Witt, Francesco Clemente e tanti altri innamoratisi della libertà data al colore di poter espandersi, gemellarsi, esprimersi totalmente senza costrizioni. Tra le varie opere presentate, una delle più significative fu la rielaborazione del David di Michelangelo in chiave totalmente contemporanea e devota alla società dei consumi: per la realizzazione di tale opera si avvalse della collaborazione dell’allora quattordicenne graffitista Angel Ortiz, in arte LA II (o LA Roc) creando così un groviglio di immagini e firme realizzate con il pennarello nero in forte contrasto con la figura del David completamente rossa e verde.

La popolarità di Keith arrivò ad oltrepassare gli oceani, conquistando le grandi città europee, giapponesi ed asiatiche e portandolo a viaggiare in giro per il mondo, ottenendo un sacco di commissioni importanti: ebbe svariate commissioni dalle  più importanti gallerie, incontrò Andy Warhol (con il quale si creò un fortissimo legame) e William Burroughs, suo idolo fin dall’adolescenza. Il linguaggio artistico di Haring è sempre stato rivolto verso temi di forte impatto sociale e culturale: attraverso le sue immagini, definite, da uno sguardo superficiale, infantili e caratterizzate dal forte contrasto di colori unito a linee e contorni continui e fluidi, riuscì a diffondere il suo pensiero riguardo il problema dell’energia nucleare (con opere quali il famoso bambino carponi disegnato su uno sfondo completamente nero e contornato da croci rosse), le ripercussioni negative del progresso tecnico (dove il computer è rappresentato come un famelico millepiedi) oppure riguardo la danza, sua grande passione: amante dei balli fin dalla tenera età, Haring si interessò soprattutto alla capoeira brasiliana. Nell’intento di riprodurre i movimenti dei partecipanti a questo particolare linguaggio musicale, un misto di danza e arti marziali che prevede la presenza di 2 o più persone, realizzò delle sculture in acciaio capaci di rivelare lo sviluppo di ogni singolo movimento, con un’alternanza di gesti nella più completa sinuosità della danza.

Nel 1985 realizzò  immense sculture  laccate con i classici colori accesi, che furono esposte nella Galleria Castelli (tra le più importanti dell’ambiente contemporaneo), mentre iniziò a trasformare le proprie creazioni sotto forma di gadget su larga scala: magliette, spillette, articolo di uso quotidiano ed accessibili a tutti, poster… e così  venne aperto il Pop Shop le cui entrate vennero devolute nella loro quasi totalità in beneficenza. Il 22 febbraio 1987 morì Andy Warhol: pochi giorni dopo Keith, distrutto dall’inaspettata scomparsa dell’amico e adorato collega, realizzò un ritratto del creatore della Pop Art: la testa enorme su un corpo femminile e una banana in primo piano, a richiamo della famosa copertina realizzata dallo stesso Warhol per i Velvet Underground. E poi, nel 1988, la scoperta: durante un soggiorno in Giappone Keith iniziò ad accusare i primi sintomi dell’HIV. Da allora molte sue opere acquistarono violenza, durezza, disperazione. La malattia portò Haring a dare una maggiore attenzione ai contenuti ed una continua sperimentazione: dopo la collaborazione con Burroughs per la realizzazione di due progetti inerenti alla compenetrazione tra la penna dello scrittore e la matita dell’artista, iniziò ad applicare il colore secondo degli sviluppi differenti e a cambiare forma della tela stessa, trasformandola in cerchio, triangolo, quadrato. Walking in the rain fu la dimostrazione effettiva di tali cambiamenti artistici. La sua ultima opera pubblica fu Tuttomondo, atta a decorare uno dei muri esterni della Chiesa di Sant’Antonio a Pisa: uno stupefacente elogio alla meravigliosa magia artistica dell’uomo simbolo della contemporaneità, un essere ultraterreno sconfitto da quel male incurabile una fredda mattina di Febbraio. La stessa mattina che vide alla luce il mito di Keith Haring.

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