admin On settembre - 15 - 2010

ARCADE FIRE
I-DAY, settembre 2010

Nella visione milanocentrica – per cui un milanese anche d’adozione non si sposta MAI da Milano – l’I-Day festival di Bologna rappresenta la conferma che il concerto degli Arcade Fire è uno degli eventi più attesi dell’anno.

Certo, bisogna organizzarsi,  cercare un posto libero in una macchina, cercare di riempire la macchina per non fare il viaggio da soli, arrabbiarsi con tranitalia che dopo una certa ora smette di funzionare anche sulla tratta più importante del paese, ma la scelta di Bologna risulta azzeccata, in quanto riesce a catalizzare l’afflusso di persone da tutto il nord e da buona perta del centro.

Arrivo al parco nord che I Fanfarlo stanno finendo: poco male, settimana prossima li vedrò con I Mumford a Milano.

Seguono in perfetto orario I Modest Mouse. O – meglio – seguirebbero visto che loro sono sì sul palco e parrebbe vederli con degli strumenti in mano e dietro a un microfono, ma non si sente niente.  Tutti si domandano cosa stia facendo il tecnico del suono, o cosa abbia fatto nelle ore precedenti al posto del sound check o se per caso non sia un salumiere tirato su alla coop poche ore prima e improvvisato fonico.

Di certo il loro live non è incisivo, anzi, è piuttosto svogliato, e non sapendo quanto dipenda dai problemi tecnici e quanto dal loro essere scazzati e disorientati,  sospendo il giudizio.

Alle nove e mezzo salgono sul palco gli Arcade Fire, che tanto siamo tutti qui per questo concerto.

La prima a palesarsi è Régine Chassagne, nel suo vestito d’oro e di tulle che mi è parso un omaggio alla raffinatezza e allo stile di Edith Piaf, che è prima di tutto una polistrumentista di eccezionale talento  e solo incidentalmente moglie di Win Bluter.

Ready to start, il miglior inizio e il miglior auspicio possibile per questo concerto che alla fine si posizionerà ben in alto nella classifica dei concerti dell’anno (e forse anche nella classifica dei concerti di sempre). Il concerto è iniziato, ma inizia veramente con la terza canzone, che è la mai troppo ascoltata Neighborhood#1 (Tunnels): e sarà tutto così, un alternarsi di canzoni tratte da Suburbs – che reggono bene alla prova live – e un rifarsi alle origini di quell’esordio che fu un esordio memorabile di Funeral, con qualche incursione in Neon Bible.

I visual sullo sfondo sono appropriati e coinvolgenti, a volte ipnotici, a volte semplicemente rimandano il faccione sempre un po’ imbronciato di Win – ma no,non è imbronciato, è che lo disegnano così.

Su crown of love qualcuno si emoziona, qualcuno piange, molti si baciano. Io, ascolto e basta pensando che “if you still love me, please forgive me” può essere una Emerita Stronzata, un’ipotesi irrealistica  o quel-che-una-ragazza-vorrebbe-sentirsi-dire, a seconda del momento sentimental-emotivo contingente (non che qualcuno se lo chieda, ma per me – contingentemente – è Emerita Stronzata).

Le canzoni affidate a Régine appaiono sì convincenti, ma meno incisive e tirate di quello del di lei consorte. Lei è bravissima come strumentista, datele qualsiasi cosa e la saprà suonare, non stride e non miagola (l’incubo di tante voci femminili) ma no, sul palco si muove come una bambina, e la trovo un po’ troppo sopra le righe quando prende delle coccarde e la fa roteare – come se avesse cinque anni.

Il concerto convince, sempre di più. I suoni sono calibrati, graffianti quando lo devono, cristallini e convinti. 

The suburs-  suburban war e intervention sono un perfetto incastro di cambi di ritmo, una giravolta emozionale da cui ci si potrebbe riprendere, se non fosse per il colpo (basso?) rappresentato da no cars go,  con un visual che ricorda il David Linch di muholland drive e il pubblico che impazzisce.

Vorremmo che questo concerto non finisse mai, lo vorremmo proprio,come vorremmo che  rebellion (lies) durasse il tempo giusto, che per me non può essere inferiore alla mezz’ora.

Gli encore sono quella mazzata finale da cui una persona non si riprende più: keep the car running a cui segue wake up, e tutto il pubblico è una sola voce, quasi una sola persona, sicuramente una comunanza di sensazioni e di soddifazione per aver assistito a questa performace da tanto tempo attesa.

Mi sarei aspettata moltissimi ragazzini, urlanti e scalpitanti che avrebbero reso invivibile o comunque di difficile gestione il concerto. Invece il pubblico è eterogeneo, pacifico, raramente molesto.

Sarà merito delle piadine, sarà colpa dello sfinimento della fila per ottenere una piadina, sarà che a settembre c’è una luce particolare nelle persone e intorno alle persone, ma questo concerto è stato un gran concerto, penso mentre addento la tigella calda e croccante, sulla via di casa.

di Marilù Cattaneo

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