



Toilet Paper, un altro modo per (eco)riciclare le immagini.
Ci sono artisti che creano spunti per le riviste, e ce ne sono altri che si inventano riviste per darsi degli spunti. È il caso di Maurizio Cattelan, controverso esponente del panorama creativo contemporaneo, padovano di nascita ma “americano” per scelta, autodidatta e poi manager di sé stesso, autore, tra le altre cose, di happenings tra i più chiacchierati della storia dell’arte, quali forma di provocazione visiva estrema. Non bastassero le sue stesse produzioni a muovere gli animi, ci si mette pure una collezione, firmata a suo nome, di immagini raccolte qui e lì per poi essere impaginate insieme in un unico giornale, Toilet Paper, ideato dall’artista stesso in coppia con il fotografo Pierpaolo Ferrari e pubblicato dalla Deste Foundation for Contemporary Art di Atene.
Già il titolo si presenta quale forma di scherno ai danni dell’osservatore: la carta da cesso è servita, ma prima ancora di questo utilizzo è possibile indagare l’utilità ludica del presente prodotto editoriale sfogliandone i contenuti mentre si provvede alle proprie funzioni vitali, specie quelle da effettuarsi presso il water. Insomma un ready made ecocompatibile, l’usa e getta per eccellenza, da sfruttarsi liberamente nel breve arco di una pisciata. Andando oltre le due parole che, abbastanza chiaramente, descrivono le intenzioni degli ideatori, c’è una copertina, la forma di riassunto più autentica riguardo i contenuti di una rivista: una sola immagine regna sovrana quale sfondo al titolo della testata, tutto il resto è superfluo. Nella fattispecie, per il secondo numero Cattelan sceglie un indice insanguinato che sgocciola verso il basso, una forma di accusa, forse, a chi giudica supponendo di sapere, senza porsi l’ombra di un dubbio; siamo in discussione tutti quanti, pubblicamente, chiamati in causa già a pagina uno.
Introducendo uno sguardo curioso tra le pagine ci si accorge subito dell’assenza di un testo: lo scatto è protagonista assoluto dell’intera pubblicazione, e per nulla al mondo verrà mai associato a una qualche forma di didascalia. La scarica di informazioni visive che irradia il serpentone di facciate spillate l’una con l’altra di forza è una presentazione power point su carta di impressioni, inquietudini, dubbi e attività onirica tratti direttamente dal panorama visivo contemporaneo. L’irrazionale in quanto piatto unico di un pasto principale consumato in piedi non è nuovo (Duchamp docet, in materia), ma è nuova la modalità: nessuno aveva mai lanciato sul mercato una rivista di libera associazione, senza un filo rosso apparente tra le immagini in questione, senza articoli ben definiti, senza didascalia alcuna, senza notizie. Questo è l’esempio di un’informazione che non informa, un taccuino d’artista redatto così com’è, mai parafrasato. La potenza evocativa delle situazioni collezionate da Cattelan e Ferrari ha del violento forse proprio grazie al silenzio del verbo sulla visione, la qual cosa rende, se è possibile, parlanti le mute figure fermate dall’obiettivo, siano esse orecchie in cheddar sauce o suore sul punto di iniettarsi una dose o, perché no, sfacciatissime cameriere nude stese come fermacarte su scrivanie piene zeppe dei soliti, piccoli, disordinati affari quotidiani condivisi da tutti, lettori compresi. Toilet Paper è pubblicità, arte, intrattenimento, curiosità, parodia (ci è andato di mezzo perfino Man Ray), fotoritocco e illusionismo, ma soprattutto Toilet Paper è un collage che unifica la società cui appartiene perché viene direttamente da lei, ne è l’emanazione contingente, il prodotto diretto, in un certo senso perfino la scoria, il sovrappiù da espellere sbattendolo nero su bianco.
Provare per credere, possibilmente in pausa pipì: e se finisce la carta niente paura, c’è sempre il giornale.
by Silvana Soffia