admin On settembre - 7 - 2010
 
 

"I'm Still Here"

Mostra del Cinema di Venezia


Lido di Venezia
“I’m Still Here” – di Casey Affleck
– intervista –
 

 

E Joaquin Phoenix. Che fine ha fatto?
I’m sorry, you couldn’t be here, Joaquin”, gli disse David Letterman l’11 febbraio del 2009, salutandolo a fine intervista.
Lui, il Commodo de “Il Gladiatore”, il Leonard in “Two Lovers”, confusinalmente apparso nel salotto più noto della tv americana con una barba da rabbino e il fantasma del fratello River, indimenticabile in “Belli e Dannati” (’91), pendente sulla testa, più che mai.
Il cognato Casey, che di cognome fa Affleck come il più noto, ma non più bravo, fratello maggiore Ben, ne ha seguito i passi per oltre un anno di riprese, affrontando per la prima volta la regia di un lungometraggio e gettando sé stesso e Phoenix in una nuova avventura a metà tra il reality, tanto in voga nell’ultimo decennio mediatico, e il documentario sull’ascesa e caduta di un dio-star del cinema, dall’annuncio del ritiro dalle scene dell’attore, fino alla volontà di inseguire la nuova strada della musica, come cantante hip-hop.
Follia e disperazione, a tratti sacrale e monumentale, iconografica e dissacrante al contempo, avvincente e scioccante a ritratto di un artista arrivato al bivio, tra rinascita creativa e coraggiosi dubbi a metà tra ramificazione del passato e prospettive future.
E’ “I’m Still Here”, geniale trovata cinematografica tanto attesa a Venezia, e in tutto il mondo, firmata da Affleck e già chiacchierata prima della sua uscita, dove la mitologia delle star hollywoodiane sconfina con il mistero e il clamore al sapore di dannazione morrisoniana e mockymentary ben amministrato tra realtà e finzione.
E senza un’effettiva risposta, se non che gli eventi devono portare avanti il cinema, forse.

Casey, cosa ti ha spinto ad affrontare questa nuova avventura a metà tra realtà e finzione, cinema e reality?
CA:
Avevo già lavorato, o meglio ci avevo provato, come regista per diversi cortometraggi di vario genere. Un anno e mezzo fa, circa, mi ritrovai in mano, senza averla né chiesta né scritta effettivamente, una storia vera, interessante e su cui lavorare con fermezza. La storia di un uomo, prima che di un artista. E’ un film molto reale, appunto, quasi un documentario, oserei dire, in cui parlo, anzi mostro la vita di un mio parente ed amico. E’ perciò un ritratto empatico di Joaquin, in cui lui non si è mai dipinto da solo, né si è mai tolto dalla possibilità di mostrare completamente tutto sé stesso. Sentivo di dovergli qualcosa e ho cercato di guardarlo con distacco e chiarezza. Ora posso dire che oltre all’aspetto lavorativo, la pellicola è servita anche sotto il profilo umana: lo conosco decisamente meglio!

E che tipo di “accordo”, c’è stato tra voi, in merito ai limiti entro cui tu e le tue videocamere sarebbero potute entrare?
CA: Joaquin mi ha dato totale appoggio e accesso alla sua vita. E’ ovvio che ci siano dei momenti in cui il rispetto supera la finzione e la curiosità stessa. Ad esempio non avrei mai voluto ritrarlo in concreti attimi di intimità, ma non è stato necessario sottolinearlo tra noi.

Avresti potuto fare un vero e proprio documentario, o un reality a tutti gli effetti, e invece…
CA:
E in vece il risultato è la fusione delle tecniche di entrambe le modalità di fare cinema, oggi. Oltre 15 anni fa girai un film diretto da Gus Van Sant, e la storia parlava di due amici che si perdevano nel deserto. Mi chiesi spesso, durante le riprese, dove avrebbe portato la pellicola, e lo chiesi anche a Gus. Volevo capire effettivamente il senso del film, che non mi era totalmente chiaro, per capire meglio sia come recitare e sia cosa avrebbe percepito il pubblico. Gus mi disse di lasciare che i temi trovassero loro stessi. Questa frase non potrò mai dimenticarla! E credo che sia la chiave di accesso e spiegazione anche di “I’m Still Here”: le cose, in questo caso la vita di Joaquin, non devono avere necessariamente una spiegazione o una soluzione prima ancora di esistere. Ci sono cose, persone ed eventi che accadono indipendentemente da tutto e tutti, e che bisogna lasciar sopravvivere e crescere senza troppe tecniche. Ho voluto catturare la sensazione che era dentro di me nel momento in cui giravo, e  questo ha dato luce all’intera pellicola, che di conseguenza è soggettiva, e parla di J. E di riflesso anche di me, senza una vera sceneggiatura, ma dove la realtà si fonde con la narrazione auto-imposta dall’evoluzione stessa del personaggio, e tutte le comparse o comunque gli altri amici, attori e conoscenti che appaiono hanno la funzione di esistere nel film per le implicazioni che generano nella vita di J.
E forse anche nella mia!

E c’è da dire anche che questo film parla, di conseguenza, anche dello star-system, senza però mai condannarlo né incensarlo…
CA:
Infatti non volevo emettere giudizi su questo mondo. Volevo descriverlo realisticamente. La fama è uno dei fattori importanti della vita di Joaquin, ovviamente, e fa parte, da sempre, del suo lavoro. Come anche del mio, direi. Il film parla anche di ambizioni e sogni realizzati o bruciati all’interno di questo sistema, che è alla base, sostanzialmente.

Si è parlato tanto di “I’m Still Here” prima dell’uscita, forse spesso anche in termini di burla al protagonista stesso, mentre al contrario, ascoltandoti e guardandolo, profuma decisamente di psicanalisi, tua e sua…
CA: E’ così! Mi ha cambiato moltissimo, sia per il mio lavoro da regista, sia nella vita. Joaquin è cambiato dal film e dalle circostanze di un percorso di vita ben preciso che vi è delineato. L’evoluzione del protagonista è la cosa che in effetti mi preme maggiormente che spicchi dal film stesso, in una sorta di percorso di maturazione e redenzione, dove alcuni fraintendimenti sulle star del cinema forse verranno così abbattute….

E Joaquin (eterno assente a Venezia, dalle conferenze al red carpet – ndr)?
CA:
Joaquin vive in un suo mondo privato ed intimo, che intendo rispettare. Credo sarà molto duro guardare sé stesso al cinema. Sé stesso che interpreta sé stesso, senza copioni o trucchi di scena. Una sfida personale decisiva, questa, per lui!

di Ilaria Rebecchi

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