Che bello quando l’arte – nello specifico il video mapping – incontra la musica e i bravissimi organizzatori, pieni di entusiasmo per la seconda edizione del Video Sound Art, trovano non solo dei nomi di altissimo livello ma anche una location, Villa Simonetta a Milano, suggestiva e di grandissimo fascino.
L’associazione che ha organzzato tutto questo è Le Cicale Dell’Arconte, progetto ideato e diretto da Laura Lamorea, che dopo la fortunatissima esperienza al Castello di Abbiategrasso, riesce a stupire con artisti diversissimi tra loro e – complice una delle prime settimane di tepore milanese (già, qui si passa dalla pioggia torrenziale al caldo equatoriale con solo un breve spiraglio di grazia) incanta con la facciata di un palazzo settecentesco che diventa il substrato fisico per un’esperienza visiva che va al di là del semplice atto di guardare.
Gli artsiti portati sono stati, nell’ordine i Lower Dens, l’intenso, struggente e bellissimo Nils Frahm e gli scanzonati Fujiya e Miyagi.
Come si diceva questo non è propriamente un festival musical – sebbene la musica giochi un ruolo importantissimo – quanto una delle maggiori opportunità di mostrare a un pubblico curioso e intraprendente alcune produzioni di videomapping altrimenti difficilmente reperibili.
Pertanto prima delle performances c’è stata l’occasione di lasciarsi trasportare, negli angoli più remoti di questa bellissima villa, in altri mondi, in un altro tempo, in altri spazi: questo è il potere sublime e inarrivabile della produzione artsitica, che ha divertito conle buffe figure animate tutte denti e occhi di motomichi ,fatto piovere pixel e meraviglie all’interno di una cappelletta grazie a Pistol Shrimp e raccontato di un viaggio grandioso e (sub)reale con i Terreni Scivolosi di François Vogel.
Lasciati questi piccoli e preziosi gioielli ci si concentra sulla musica.
La scelta appare evidente: non fare un festival monotematico, ma unire un pubblico indie con uno più adulto (da non intendersi necessariamente nell’accezione anagrafica) per finire con quello più scanzonato di un’elettronica gaudente. Questo dal mio punto di vista è un grandissimo pregio degli organizzatori: in tal modo si cerca di venire incontro ai gusti più eterogenei, avvicinando persone molto diverse tra loro a un’idea di arte e cultura non convenzionale.
La prima sera, sul palco, i Lower Dens presentano il loro nuovo lavoro Nootropics. Vengono dal Texas, per quanto hanno delle sonorità molto al di fuori dell’immaginario collettivo texano: soprattutto questo nuovo album è minimalista e quasi notturno,quasi introspettivo.
Il cantanto di Jana Hunter – mente e vero e proprio deus ex machina del progetto – ha qualche sbavatura dovuta, immagino, al fatto che sia uno dei primi live per il secondo album, ma tuttosommato il set è divertente e godibilissimo, anche perché la band è coesa e decisa a far un buon lavoro, e le parti di basso e chitarra sono molto vivide, sentite e partecipate.
Il grosso merito che si deve riconoscere a questo gruppo uscito da sotto l’ala protettiva di Devendra Banhart è sicuramente il fatto di essersi emancipati dalla scia quasi folk del primo lavoro per sperimentare un nuovo genere, più cupo e maturo, con netti richiami all’elettronica dei kraftwerk (ed ecco spiegata la presenza di ben due tastiere sul palco).
Il giudizio complessivo è quindi positivo ma senza lasciarmi quella piena soddifazione che porta a casa con la voglia di riscoltare immediatamente il disco.
Parafrasando il titolo di un notissimo romanzo, la sera seguente è stata doi stupori e di tremori.
L’apertura è stata affidata ai No Hay Banda, un esperimento milanesissimo dove quattro ragazzi hanno giocato (vincendo) con generi diversi tra loro, ed ecco sul palco un pianforte a coda e due mac, che si sono rincorsi, trovati, persi, ritrovati, con una gioia e intensità che nulla ha di drammatico. Diversi linguaggi, che tra loro sono riusciti a parlarsi, come una felice epifania corale. Molto belli anche i visual proiettati e realizzati da Glauco Canalis.
Subito dopo, la perfezione di Nils Frahm, che arriva sul palco e sembra un ragazzino nonostante i sui trent’anni, bello e sorridente che ti convince con la sua semplicità ancor prima di mettersi al piano.
E’ difficile parlare del suo concerto, perché è stato talmente passionale, sentito, emozionale ed emozionante che hai paura di rovinare quella magia con delle parole, e vorresti inventarne di nuove per giocarci insieme alla musica di Nils.
Se è vero che ogni musicista ha un proprio alfabeto con cui esprimersi, quello di Nils è particolarmente strutturato e innovativo, e lo ha spinto – nei suoi lavori su disco – a innovare e sperimentare inserendo microfoni all’interno della cassa di risonanza del pianoforte, in modo che quasi sfiorassero le corde: finezze che per ovvi motivi si perdono in un live, ma che sono state degnamente sostituite dalla bravura, dal pathos e dalla semplicità di questo berlinese, che non si fa distrarre e nemmeno innervosire da un “ospite inatteso”, ovvero il prolungato abbaiare di un cane. Nils finisce il pezzo, di volta, prende il microfono e chiede gentilmente al cane di smettere (wof wof wof? Wof!). E quello lo fa.
I pianissimi si susseguono ai forti e ai fortissimi, la pace di un talento che ha trovato il suo sbocco naturale scende sulla platea, e per una volta non si sentono i fastidiosissimi brusii delle inutili chiacchiere da concerto.
Unico appunto per un live sensazionale: un’ora e mezza è troppo poca. Almeno tre! Almeno cinque! Almeno fino all’alba!
L’ultima sera è quella più da dancefloor, con i Fujiya e Miyagi, destinata a un pubblico diverso, chiassosa e decisamente allegra, roboante e danzereccia.
Alla fine della parte musicale la facciata settecentesca di Villa Simonetta si è trasformata in uno scehrmo dove è stato proiettato il progetto più ambizioso e aspettato del videomapping: la performance audiovisual di Gianluca Abbate (Ade Creative Studio) e Laura Lamonea.
Originariamente la facciata era affrescata con opere rappresentanti le imprese dei Gonzaga. Oggi è stato il palcoscenico per una nuova frontiera artistica, il futuro che si interseca nel passato, a dimostrazione di come le possibilità infinite della tecnica siano espressione anche di un’epoca totalmente diversa.
Bello, bello, bello. Questo festival multidisciplinare che ha esordito l’anno scorso ci ha pienamente convinto anche quest’anno. E, personalmente, sono già qui che aspetto la terza edizione.
by Marilù Cattaneo