admin On novembre - 23 - 2010

BLOOD RED SHOES
Milano, 22.11.2010

Sarebbe bello pensare che le pareti rosso sangue della casa 139 siano state fatte in onore dei blood red shoes, e nulla ci vieta di pensare, e di sostenere con forza, che sia così.
Il pubblico è tanto, per essere un lunedì sera, e si potrebbe pure fare un discreto vip watching dello scenario indiemilanese, se solo conoscessi qualche vip dello scenario indiemilanese (ok, ho riconosciuto una nota dj di qui, il mio dovere di ligia cronista da vanity fair l’ho fatto anche stavolta).
Birra contro il caldo, attesa paziente, e si inizia.
E scusate se si inizia con boring by the sea, e scusatemi se fuori fa freddo e dentro no, e se non ci sentirò mai più in vita mia, e pure scusatemi se l’unica parola che mi viene è potenza potenza potenza.
Questi ragazzi di Brighton devono aver preso in seria considerazione la parte in cui si dice che nel post punk si fa parecchio casino, perche’ stasera sono convinti e rumorosi e decisi e incisivi.
Con lo scorrere delle canzoni i blood red shoes piacciono sempre di più, seppure appaia quantomeno bizzarra la set list che privilegia il primo disco  (Box of Secrets) in un tour per promuovere il loro secondo lavoro (fire like this); in ogni caso i Laura Mary Carter e Steven Ansell sono a loro agio sul palco e con il pubblico, lei oltretutto e’ molto brava a tenersi tutti i capelli in faccia pestando con senso compiuto sulla chitarra senza starnutire o avvertire altri segni visibili di disagio.

Un mio amico sostiene che se io fossi un uomo avrei notato tutto fuorché i capelli di Laura Mary. Ma tant’è.
Say something, say anything, e che devo aggiungere a parte il fatto che trattasi di gran prova? Che mi sarei maledetta se avessi ceduto alla tentazione del trittico tuta-divano-pigrizia?
Ok, non si discute, se dopo say something say nothing fai don’t ask, nella mia personalissima categoria passi da gran gruppo a genio, a prescindere dal valore musicale delle tue canzoni, da come le interpreti e da quanto tu sia convinto.

Don’t ask, oltretutto, esce cattiva e tesa al punto giusto.
Sul singolone I wish I was someone nelle prime file c’e’ un discreto pogo, senza che la situazione degeneri.
Nelle retrovie avviene invece un miracolo a Milano: tutti sono sì più pacati, ma non si assiste alla trasformazione di persone in statue, cosa estremamente comune in certi ambienti, dove se vai a un concerto è per non divertirti.
Questo dovrebbe dire molte cose, ma non siamo acide, e quondi sostengo che il merito è tutto loro, e di I wish I was someone.

Finisce a tutto a mezzanotte, l’ora di cenerentola, che per una volta non ha indossato una leziosa scarpetta di cristallo.

A margine di tutto ciò vorrei ricordare che i tagli alla cultura uccidono anche la voglia di vivere in un paese, perchè non importa su quale simbolo tu abbia fatto la X alle scorse elezioni, o su quale la farai alle prossime; quel che importa è che tu possa scegliere se leggerti un libro, venire a sentire dei ragazzi parecchio rumorosi, vestirti da brava ragazza e accompagnare tua madre a un concerto sinfonico, andare a teatro o a vederti un bel film (possibilmente in versione originale).

Setlist:
boring by the sea
light it up
you bring me down
count me out
say something, say anything
don’t ask
this is not for you
keeping it close
I wish I was someone
Heartsink
fade

by Marilù Cattaneo

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