admin On novembre - 9 - 2010

JOHN ZORN
Milano, 8.11.2010

Gli aperitivi in concerto, organizzati dal Teatro Manzoni ,  fanno parte di  un’inusuale e interessante rassegna che da ventisei anni è entrata nel panorama jazzistico milanese sia per l’unicità della location (il Manzoni  è uno dei teatri storici della prosa) sia per l’inusuale collocazione temporale: domenica mattina.  

Il direttore artistico Gianni Morelenbaum Gulaberto e la bravissima organizzatrice Viviana Allocchio hanno creduto in questo progetto, al punto tale da essersi assicurati  quest’evento di portata eccezionale, ovvero John Zorn con la sua Masada Marathon.

Masada Marathon – Book of Angels , presentata in prima mondiale,  è  un’opera che si può  definire epica sia per il numero di artisti coinvolti  (28 che si alternano sul palco, sperimentando tutte le formazioni possibili, dal violoncello solista al quartetto di voci, alla sperimentazione”pura” con strumenti convenzionali e laptop fino alla strepitosa chiusura con un ottetto di incredibile suggestione) sia per la potenza creativa espressa.
Calma, sono qui al cospetto di uno dei più grandi jazzisti viventi – se non di tutti i tempi – e quindi c’e’ solo da star calmi.
Sono 12 pezzi (brani? movimenti? composizioni? ) da 20 minuti ciascuno, in cui si tenta di sondare ogni aspetto di questo genere, e si parte con un pezzo classico, John Zorn al sax contralto, tromba, contrabbasso e batteria. Dietro ai gruppi musicali che compongono il progetto Masada c’è un compelsso simbolismo  ebraico: non solo il nome fa riferimento  alla fortezza zelota che ha resistito per due anni all’attacco delle legioni romane la cui comunità  – giunta allo stremo – optò per un suicidio collettivo piuttosto che cadere in schiavitù, ma la qualificazione di quest’opera monumentale “book of angels” riporta a taluni ambiti della Kabbalah e dell’esoterismo medioevale di non comune complessità.

Zorn a tal proposito è esplicito: “l’idea di Masada è di produrre una una sorta di musica ebraica radicale, una nuova musica ebraica che non è quella tradizionale in nuove vesti ma è la musica per gli Ebrei di oggi. L’idea è di unire le scale di Ornette Coleman a quelle ebraiche”.
Il secondo movimento,  violino e pianoforte, è una digressione nel gotico sperimentale,  un pezzo di indubbia difficoltà esecutiva e di grande impatto emotivo. Curioso e inaspettato è l’inserimento di brevissimi passaggi presi dal classicismo vivaldiano: solo quattro battute ma che introducono un ancoraggio alla musica classica conosciuta e riconosciuta
Il terzo movimento è una digressione in doppie percussioni, piano e contrabbasso, che si cala nell’amosfera rarefatta e fumosa di quello che potrebbe essere stato un jazz club  di Brooklin prima che Williamsburg e Dumbo diventassero i quartieri cool.
Manca un robusto drink, una ragazza di una bellezza vissuta e un po’ appassita al banco e il fumo azzurrognolo di troppe sigarette, ma il sentire è quello.
Dal contrabbasso si passa, sempre nel terzo movimento, alla chitarra e strumenti tradizionali (balafon, odu e gimbri) , dalla fumosa Brooklin all’errante asia nel giro di niente.
Suggestione, tradizione sconvolta dalla mente geniale ed eclettica di John Zorn, il l terzo movimento di quest’opera faraonica  lascia senza aggettivi per l’uso e l’inventiva e la transazione spazio temporale, e così dopo la “sperimentazione tradizionale” si giunge  a sonorità prettamente  black che riecheggiano gli anni trascorsi in cui  John  formava il suo talento e delineava la sua genialità attraveros l’opera di Jimmy Giuffre, Roscoe Mitchell e ovviamente Ornette Coleman.

Il quarto movimento esplora la voce e forse è leggermente penalizzato dall’inevitabile raffronto con la potenza e l’impatto sonoro ed emotivo dell’ultimo ascolto.
Il quinto movimento “Bar Kokhba” è  lineare e classico, e pare essere un fuori programma: violino, violoncello, contrabbasso, chitarra e percussioni.  John Zorn è  su palco, spalle al pubblico, direttore di  orchestra elegante ed essenziale.
Sesto movimento, the Dreamers.  Nel tempo del sogno e dei sognatori tutto può  accadere, soprattutto se a sognare è un genio.
Gli strumenti si fondono nella perfezione, e nessuno sembra predominare sugli altri, per questo tutti esprimono la propria individualita con una comunione perfetta.
Il vibrofono, la batteria accarezzata dalle spatole, un magnetico cyro baptista alle percussioni, quasi un alter ego di Zorn, chitarra e basso e tastierte. Tutto e’ illuminato direbbe un newyorkese abbastanza celebre.
Settimo movimento, ovvero come lo stesso strumento, il violoncello di Eric Friedlander, possa essere scanzonato e ludico in quanto pizzicato ed epico e straziante, con un archetto fino a che le parti non si invertono e la leggerezza diventa pathos, e lo struggimento diventa quasi una danza errante.
Il Bester Quartet  è ottava espressione di quest’opera monumentale e imprenscindibile.
Per la prima volta dall’inizio di questa maratona compare una fisatrmonica, strumento di rara compleissità e di affascinante identità.
Penultimo movimento, un inno. Sono tre archi sul palco, Zorn  li dirige, e’ il deus ex macchina, la luce che ha dato forma a questo progetto e la  forma e da cui ha preso le sembianze.

Il finale, Eletric Masada, raccoglie la testimonianza di quel che è stato, e con l’introduzione di un laptop e di  influenze elettroniche  pare gettare un ponte tra il passato, tra quel che è stata una fortissima influenza di musica colta e di ricerca nell’iconografia jazzistica, e presente, dove l’energia vitale data dalle triple percussioni spezza ogni tipo di resistenza.

E’ una musica estremamente difficile, questa.  Ma tutta la difficoltà e tutto l’impegno e la complessità del linguaggio zorniano rappresentano una conquista per chiunque avrà l’umiltà, la pazienza e il coraggio di accostarsi a quest’uomo, che con la sua genialità ed eclettismo ha scritto e sta scrivendo un capitolo imprenscindibile del jazz.

I ringraziamenti ai curatori di questa rassegna non sono per una volta un atto dovuto, ma un’autentica manifestazione di stima per questo progetto che si è consolidato nel panorama concertistico milanese di altissimo livello, e che pone Milano in una posizione invidiabile nel panorama jazzistico  complessivo.

http://www.aperitivoinconcerto.com/index.php?idPagina=2

di Marilù Cattaneo

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