admin On settembre - 8 - 2010

"The Town"

 

Mostra del Cinema di Venezia


Lido di Venezia

“The Town” – di Ben Affleck
– intervista –

Tratto dal romanzo di Chuck Hogan “The Town – Il Principe dei Ladri”, “The Town”, pellicola hollywoodiana di punta tra le presentate Fuori Concorso al Lido quest’anno, è una storia d’amore, scorrerie e rapine violente, ambientata nella Boston di oggi e con un sapore rivisitato di ambizione commerciale e parallelamente anche retrò, con ampi riferimenti (specialmente in quanto a tecniche di ripresa e montaggio), ai grandi classici del cinema gangster dei decenni addietro.
E Ben Affleck, qui sia protagonista che regista, alla seconda impresa con la regia dopo il successo di “Gone Bayby Gone” (2007), in “The Town” mette tutto l’impegno possibile, tra una portentosa ricerca di un accento del luogo (in particolare del malfamato quartiere Charlestown, dove romanzo e film sono ambientati), una sceneggiatura, alla quale collabora in prima persona, fedele al libro, ma con risvolti a sorpresa che riescono a calzare perfettamente con il flusso delle due ore di proiezione, un cast stellare (soprattutto negli States) e capace di accaparrare favori di critica e pubblico al contempo, colpi di scena in perfetto stile thriller-poliziesco di oggi (e ieri, appunto), e tutta una serie di riflessioni e inversioni di ruolo tra i protagonisti, al punto che alla fine il pubblico potrebbe non avere più chiaro chi sono i buoni e chi i nemici.
E, a sublimare la scena, la sensazione che la speranza di una fuga da un passato negativo, forse può non avere, del tutto, un futuro.

La tua seconda prova da regista, questa, Ben…
BA:
Pensa che all’inizio delle riprese di “Gone Baby Gone”, ebbi la sensazione che non l’avrei mai ultimato. E ora eccomi qui con “The Town”, a tre anni di distanza. Fare il regista mi piace molto, ritengo che sia una forma di espressione parallela ma molto diversa da quella della recitazione, e molto più vicina alla scrittura, in un certo senso. Attraverso la regia riesco ad esprimere qualche cosa di me che recitando non emerge, e viceversa.

E che tipo di regista sei, e soprattutto, sei stato con il tuo cast (Rebecca Hall, Jeremy Renner, Jon Hamm & co), per “The Town”?
BA:
Ho detto loro di lasciarmi lavorare senza fiatare!!! Scherzi a parte, credo d’essere stato molto puntuale, e la cosa a cui tenevo più di tutte era quella di far entrare ciascuno dei miei attori nella parte, o meglio ancora nel tessuto sociale e nell’ambiente in cui i loro personaggi sarebbero vissuti e avrebbero agito all’interno della pellicola. Ho portato Jeremy in prigione, incontrando alcuni detenuti, ho conosciuto insieme a Jon molti elementi della polizia locale di Boston e dell’FBI, ad esempio. Il cast è fondamentale. Si lavora “meno” e decisamente meglio con un cast stellare, e non solo a livello di notorietà, intendo.

E da dove arriva la tua ispirazione nel lavoro di regista?
BA:
Senza dubbio devo moltissimo ai film con cui sono cresciuto: dai film gangster degli anni ’50 ai colossal polizieschi, ad esempio. Poi direi che l’aspetto sociale di una trama di un film, come di un romanzo del resto, sia fondamentale per me nel momento in cui vesto i panni del regista. Voglio ricrearlo nei minimi dettagli, per questo ho prestato molta attenzione all’accento del mio cast, perché volevo fosse precisamente quello del posto in cui è ambientata la storia, ovvero il quartiere di Charlestown, a Boston.
Sono stato influenzato da moltissimi film in cui l’ambientazione sociale era fondamentale, al punto da diventare la base per tutto il film, che di conseguenza diventava credibile in sé e per sé. Ad esempio “Gomorra”: ho adorato quel film, così radicato nel luogo in cui si svolge l’azione.

Tra l’altro ad un certo punto del film spunta la parola omertà, un termine molto, purtroppo, italiano, se vogliamo…
BA:
Di certo sono stato influenzato da “Il Padrino”, ad esempio. “Omertà” è un termine perfetto per delineare un preciso tessuto sociale auto-indotto in cui anche alcuni dei miei personaggi sono assorbiti. Per molti anni, a Boston a d esempio, moltissimi crimini rimasero irrisolti, e il mio personaggio rispetta questo stesso codice del silenzio che si specchia nella parola omertà.

E anche “Gone Baby Gone” era ambientato a Boston…
BA:
E non a caso! Credo che l’ambiente in cui vivi ti influenzi per forza di cose. Molti film hollywoodiani hanno a che fare con la natalità delle persone: le partenze, i ritorni, la staticità di una vita in una città, l’attaccamento, il bisogno di fuggire, e ritornare. Come se nel distacco del narrare una realtà, come in questo caso, negativa di una città, vivesse proprio l’attaccamento dei suoi abitanti ad essa.

Si è molto parlato, in questi giorni soprattutto, con la presentazione di “Vallanzasca” di Michele Placido, dell’eterna lotta tra il cinema che parla di criminali e la moralità delle pellicole stesse, se siano legittimate dalla propria arte e dalla fedeltà storica o meno. Che mi dici nel tuo caso?
BA:
Mi sono fatto molte domande in merito a questo. Mi sono chiesto se fosse giusto dare spazio e forse in certi punti glorificare un criminale, o meno. Ma alla fine io ho voluto solo raccontare una storia, di criminali e non solo. In ogni uomo c’è del marcio e del puro, che a seconda dei casi si superano in maniera impressionante l’un l’altro. Anche i criminali, a volte vanno capiti come uomini. E poi credo che tutti questi, “The Town” incluso, siano film per adulti, quindi liberi per l’interpretazione altrui. Personalmente ho addirittura insistito, per esempio, sulle scene di violenza, affinché fossero il più reali possibili, quasi difficili da guardare, proprio per mostrare a cosa porta la violenza, e, nel palesarlo, cercare di sottolineare l’errore in essa. La mia storia poi, ha in sé un ribaltamento dei ruoli, specialmente sul finale, al punto che il cattivo per antonomasia risulta persino simpatico, perché “uno contro tutti”. E’ una storia universale, e per certi versi, anche metaforica.

Ed è un film che sorprende con un finale a sorpresa, diverso da quello del romanzo di Hogan…
BA:
Ho preferito fare così, lasciando di sorpresa il pubblico e cambiando le carte in extremis. Questo perché lo spirito creatosi durante la lavorazione del film portava ad un finale diverso dal libro.
Al pubblico scegliere quale sia stata la scelta migliore!!! Certamente, la mia è quella più breve!


di Ilaria Rebecchi

 

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6 Responses so far.

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